Scheda dell’opera Le quattro età dell’uomo di Antoon van Dyck
Antoon van Dyck (Anversa 1599 - Londra 1641)
Le quattro età dell’uomo 1621-25
olio su tela; 115,5 x 167,7 cm. Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati, inv. A 288
Verso il 1620 il pittore fiammingo Antoon van Dyck (nato ad Anversa nel 1599 e deceduto a Londra nel 1641) realizza Le quattro età dell’uomo, uno dei capolavori più importanti dei Musei civici di Vicenza, custodito a Palazzo Chiericati. Nel 1665, nell’inventario della collezione del suo proprietario, il duca di Mantova Carlo II Gonzaga, il quadro è identificato come «le quattro età del van Dic».
Dello stesso soggetto, le quattro età dell’uomo, si ha traccia in un dipinto perduto di Giorgione definito «il simbolo dell’humana vita» dove erano rappresentati un bambino, un uomo armato, un giovinetto e un vecchio senza abiti. La stessa iconografia la ritroviamo in questo dipinto che ha chiaramente come protagonista il tempo, colto in diverse sfaccettature.
In van Dyck è il tempo umano che incrocia quello incalzante delle stagioni: il bambino è l’infanzia associato alla primavera, la donna è la giovinezza rappresentata con l’estate, l’uomo in corazza è la maturità raffigurata nella stagione dell’autunno e, infine, l’uomo anziano è la vecchiaia, metafora dell’inverno, il periodo in cui tutto muore per poi rinascere.
Nato ad Anversa nel 1599, van Dyck diventa ben presto noto per i suoi ritratti e per i soggetti mitologici e religiosi dei suoi dipinti. La sua famiglia, molto benestante, incoraggia il talento del giovane, allievo di Pieter Paul Rubens, che viaggia in Italia come prevedeva all’epoca il classico Grand Tour, il viaggio di formazione dei promessi artisti e intellettuali.
Qui in Italia ha modo di conoscere Tiziano, il suo modello, e di immergersi nel pieno Rinascimento italiano. È infatti in questo periodo che van Dyck dipinge l’opera in mostra, quando da Venezia si sposta a Mantova, ospite della corte del Gonzaga. È ormai un pittore maturo e famoso e si distingue per una pennellata sobria e attenta alla modulazione degli effetti di luce.
L’opera sembra proprio dare espressione al tempo che scorre: dal candore del corpo del bambino, abbandonato nel sonno, prosegue lungo il braccio della donna fino al suo volto. Uno sguardo intenso e trepidante unisce i due giovani, mentre l’uomo, con gesto sicuro, tocca il braccio dell’amata. Il vecchio in lontananza, puntando il dito verso il basso in direzione del bambino, sembra chiudere idealmente il percorso. L’andamento circolare simboleggia l’abbandono dell’uomo all’inesorabile passaggio del tempo.
Il quadro è anche in dialogo con Venere, Marte, Amore e il Tempo del Guercino tanto che si pensa che sia stato questo il modello per il pittore fiammingo. In entrambi troviamo un ritmo circolare che allude ancora una volta allo scorrere del tempo, concetto che mette in relazione ogni dipinto della mostra. In questo caso si può leggere il dipinto in chiave mitologica, ma il senso non cambia: che i due giovani amanti siano Marte e Venere, il bambino un Cupido dormiente e il vecchio Crono che ricorda che anche l’amore è effimero, il messaggio ci riporta sempre alla stessa riflessione sull’inesorabile fluire del tempo.